Diceva qualche personaggio:
se fossi stato bello e avessi avuto mille donne molto probabilmente non avrei studiato e non starei scrivendo.
Se la famelica voglia di sentirmi il desiderio femminile addosso non avesse regolato da sempre tutti i miei comportamenti chissà chi sarei adesso.
È stato il deserto delle passioni, l’incuria di un giardino abbandonato, uno spazio ghiacciato senza voci e senza silenzio, la dannazione eterna, un tempo che non è mai stato tempo, un urlo perpetuato attraverso le cose stanche di esistere senza un motivo- è stato tutto questo, ma anche altro, che non dico per pigrizia, a farmi essere e non essere quello che sono.
Una sete mai appagata di un’acqua che non esiste.
E mi contraddico.
Mi lascio lascivo a pensieri lubrichi di amplessi promiscui con donne bellissime e sconosciute.
E nemmeno questa è forse verità.
Forse cerco solo di razionalizzare istinti, catalogare pulsioni, iscriverle dentro confini di causa-effetto, come un matematico che cerca, disperato, la quadratura del cerchio.
Destinato al fallimento il tentativo di spiegazioni, di ragioni plausibili a questo io che dondola ciclotimico, bipolare, pazzo.
Questo io che cerca consolazione, rinsavimento, rinascita.
Lo curo con parole scritte su fogli bianchi, che non sono più fogli, ma supporti digitali e gli ricordo quanto siamo caduchi, fragili, delicati, quasi inconsistenti.
Lo accarezzo con mani che plaudono, con prosit lanciati dagli spalti al posto di pomodori.
Lo lusingo con sguardi furtivi allo specchio che cercano di rubare la giovinezza in un orgasmo dei sensi, in una risata senza prima né dopo.
Costruisco cattedrali di niente dal nulla destinate a tornare nel niente annientandosi e annullandosi.
E penso dell’inquietudine di Pessoa e a lui mi paragono: chi più inquieto? I suoi ii più millantati e gloriosi, i miei schifosi da manicomio.
Nessun odore giunge.
Un fiore rosso profumato di limone che limone non era bussava alle mie narici lasciandomi indifferente e io recitavo interesse. Io recitavo volere. Io recitavo la vita.
E forse sarebbe bastato, all’inizio solo più amore: perduto, cercato, non trovato, bestemmiato, ripiegato su se stesso l’io dolente, come chi vuole sfondare un muro a mani nude e poi presenta lividi e il muro rimane intatto, alto, maestoso, tiranno dell’anima.