Agrigento

Girgenti inerpicata sugli scogli:

millenni, secoli e giorni d’imbrogli;

rigurgita le tue terre

governanti sicut ille Verres.
Agrigento arrampicata sulle pietre:

sono i grattacieli corna di capre;
Akragas abbarbicata sulle colline,

Akragas sublime;

troppo affollata 

che vorrebbe solo essere lasciata

sola con i suoi racconti e le sue rovine.

Girgenti invidiata dalle vicine,

Agrigento maestosa, disegnata

sui ponti e sulle “pale di ficurine“,

Akragas tirannica e di aspre rime ,

figlia di Icaro, figlia di Dedalo,

Empedocle, l’arché e la fine;

Agrigento, 

che carezzi i turisti col petalo 

volato dal vento,

che insegni ai barbari e al loro nordico profumo

come è facile svendere fumo.
Girgenti, che tra gli argenti

 custodisci il mandorlo, l’ulivo e il  ciliegio,

Akragas, dove non è sacrilegio

fotografare le cose sacre 

insieme alle capre,

dove è dolce il sortilegio

di cose passate che non interessano a nessuno, 

(cu si nni futti?)

ma che fanno tanto tanto fumo 

(sunnu di nuddu i cosi di tutti!)

Chiasmo

U me cori è cori ri buttana,

e chissà se il mio posto è questo qui,

e non fare quella faccia così strana,

non sapevo che le cose poi erano così.
U me cori è cunzarru di petri,

vorrei dire tutto quello che è tabù,

ma è difficile svelare pensieri tetri,

e questa cosa la sai meglio tu.
Sogno di violenze con orgasmo

e di infinite dolcezze,

sogno di piacere il tuo spasmo
e d’estasiarti con le carezze,

io e te incrociati in un chiasmo:

sono tutte qui le mie certezze.

L’agnello/capretto pasquale: Gesù, il capro espiatorio/pharmakos/scapegoat/Agnus Dei e la tragedia catartico/apotropaica

In occasione della Pasqua che arriva e del costume di mangiare l’agnello o il capretto durante queste giornate di festa vorrei proporre alcuni accostamenti di riti antichi e di modi di dire contemporanei.
Infatti un sottile filo conduttore lega le foto dell’imprenditore-politico con l’agnello in braccio, Gesu Cristo, la tragedia greca e il pharmakos, il capro espiatorio, l’inglese scapegoat e l’espressione siciliana carricarsi a pecura.

Il nostro discorso può prendere le mosse dall’espressione italiana capro espiatorio, a proposito della quale su Treccani-on Line si legge: L’essere animato (animale o uomo), o anche inanimato, capace di accogliere sopra di sé i mali e le colpe della comunità, la quale per questo processo di trasferimento ne viene liberata (anche capro emissario, nella Vulgata hircus emissarius, traduz. dell’ebr. ‘ăzā’zēl). Il nome deriva dal rito ebraico compiuto nel giorno dell’espiazione (kippūr), quando un capro era caricato dal sommo sacerdote di tutti i peccati del popolo e poi mandato via nel deserto (Lev. 16, 8-10; 26). Questa trasmissione del male era conosciuta anche dai Babilonesi e Assiri, e dai Greci.
Un modo di dire, quindi che deriva da un rito ebraico che serviva per allontanare i mali dalla città, usando un essere (uomo o animale) innocente che addossato su di se (tollit) tutti i mali del mondo (peccata mundi ). Da qui il passaggio all’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Agnus Dei qui tollit peccata mundi) è davvero breve: Gesù Cristo si fa capro espiatorio dei mali del mondo, diventa vittima innocente sacrificale, si carrica a pecura, come diremmo noi in siciliano, scapegoat, come dicono gli anglosassoni con un’espressione simile all’italiano, dove goat vuol dire capra e scape ha il significato di fuggire.
Per cogliere la sfumatura della fuga connessa con il capro dobbiamo pensare agli antichi Greci e ad un rito chiamato del pharmakos: un pharmakos (parola usata spesso dai poeti Ipponatte e Callimaco) era un uomo (e una donna) anticamente, poi un capretto che, originariamente durante le feste Targelie ad Atene dedicate al Dio Apollo e poi in tutta la Grecia, veniva allontanato dalla città e gli veniva addossata una corona di fichi e lo si copriva di insulti, calci e sputi: il pharmakos, non tradendo la sua origine di vox media, cioè di parola che può avere sia accezione positiva che negativa (pharmakon può significare tanto medicina per guarire quanto veleno); non tradendo il suo essere una vox media, dicevo, il pharmakos ha contemporaneamente la funzione di vittima sacrificale e di eroe: venendo sacrificato e sacrificando la propria vita, riscatta la vita di tutti gli altrispondo individui della società, purifica e monda il mondo dalle sue brutture, ha funzione apotropaica.
Per associazione di idee, parlando di rito apotropaico e di capro non si può non pensare alla tragedia greca e alla sua etimologia: tragedia deriva dall’unione di due parole, thragos, che vuol dire capro e odé, che vuol dire canto. Seppure non c’è unanimità tra gli studiosi sull’origine della tragedia, l’etimologia della parola fa pensare sostanzialmente a tre ipotesi:
1) canto del capro è da riferirsi al fatto che le tragedieci venivano rappresentate durante le Grandi Dionisie, feste in onore del dio Dioniso, che viene raffigurato con attributi caprini e il cui animale sacro è, per l’appuntornare il capro (si pensi ai satiri che componevano il coro delle tragedie antiche; gli stessi attributi caprini nella tradizione cristiana verranno poi affibbiati al diavolo);
2)l’espressione canto del capro si riferirebbe al fatto che colui tra i tragediografi che partecipavano all’agone tragico che avesse vinto avrebbe ricevuto in premio un capro;
3)seguendo quanto dice Aristotele nella Poetica:La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e compiuta […] la quale per mezzo della pietà della paura provoca la purificazione da queste passioni“. La tragedia, proprio come il capro espiatorio, ha la funzione catartica di purificare la società e al tempo stesso apotropaica allontanandone i mali.

Sugli slogan elettorali a Ciminna.

“L’appello ai liberi e forti“, frase ad effetto lodata e in voga in questa tornata elettorale paesana (ne parla la coalizione con questo nome e ne parlava con lode oggi l’ottimo oratore, forse un po’ logorroico, a nome dell’Amministrazione uscente); frase rispolverata e tornata in auge, come si addice alla moda shabby shic postmoderna, quasi che fosse un motto di grande importanza e valore, fu la.frase d’apertura del manifesto del Partito Popolare Italiano al momento della sua fondazione nel 1919 da parte di don Luigi Sturzo; il manifesto, redatto su indicazione di un prete, si rivolgeva a tutti gli uomini “liberi e forti” e li invitava ad aderire al neonato partito. Chi erano questi “liberi e forti”? Erano i Cattolici che fino ad allora non avevano potuto partecipare alla vita politica a causa del cosiddetto “non expedit” di Papa Pio IX, bolla papale del 1874 con cui si proibiva ai Cattolici di partecipare alla vita politica perché, alla lettera, “non conveniva”. Nel 1919 il Papa Benedetto XV abrogò questo divieto e si avviò la formazione del Partito Popolare di ispirazione democratica e cristiana (il simbolo era lo scudo crociato con croce latina e motto: LIBERTAS). Il partito fu sciolto da Mussolini nel 1926 e rinacque sotto nuove spoglie e per volere  di Alcide De Gasperi con il nome tristemente famoso di Democrazia Cristiana (lo scudo crociato simbolo di forza e la libertas).
Per par condicio e amore del vero, diremo che nemmeno gli altri due slogan elettorali brillano come forma e contenuto.

Partiamo da SiAmo Ciminna. Tony Troya, candidato alle elezioni comunali palermitane scrive nel suo sito:  Se devo fare qualcosa per la città, devo farla io, da palermitano che ama Palermo con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Ed è per questo che è nata SìAmo Palermo, l’incontro tra l’affermazione dell’amore per la città e il senso di appartenenza ad essa.

SiAmo Ciminna, quindi, dovrebbe essere l’incontro tra l’affermazione dell’amore per il paese Ciminna e il senso di appartenenza ad essa, senso di appartenenza che si ribadisce ed è concepibile per Troya che è nato a Como da genitori palermitani ed è tornato a Palermo solo adesso per le elezioni: per Ciminna ha senso? forse si addicerebbe di più ad un’altra lista. Peccato che lo slogan, dalle sembianze così belle e originali, sia stato scopiazzato.

Andiamo adesso a Ciminna prima di tutto. Anche questo slogan è in linea con la moda mondiale e va nella direzione di uno spiccato nazionalismo, anzi campanilismo. Ho detto spiccato nazionalismo non a caso, ma con cognizione di causa, perché il novello presidente degli USA, nel suo discorso di insediamento al governo, così si è espresso: l’America prima di tutto, in riferimemto al fatto che la.precedente amministrazione non ha curato gli interessi del popolo.

Macrocosmo e microcosmo in perfetta sintonia. Tra l’altro nel 2011 è stato pubblicato un libro di Rosanna Restivo e Michele Cimino, dal titolo La Sicilia prima di tutto, che suona già come slogan e si riferisce, a detta degli autori, al fatto che chi c’è stato prima ha agito in Sicilia curando i suoi interessi e non quelli della regione. Uno slogan demagogico e populista più contro qualcuno che per qualcosa.